Dimostrazione di forza o conflitto imminente?
Non è chiaro quali siano le reali intenzioni che hanno spinto il presidente russo Vladimir Putin ad ammassare ingenti truppe e mezzi militari a poche centinaia di chilometri dal confine Ucraino. Le relazioni tra i due paesi sono da sempre tese soprattutto dopo che la Russia ha annesso la Crimea al suo territorio e due province russofone, ucraine, si sono autoproclamate indipendenti (Donetsk e Luhansk). In questi territori per sostenere le milizie separatiste filorusse della regione del Donbass la Russia fin dal 2008 ha fatto uso di mercenari o soldati irregolari non esponendosi mai direttamente; nella maggior parte delle operazioni russe all’estero degli ultimi anni il “fattore sorpresa” è sempre stato importante. Come mai ora questo massiccio spiegamento di forze al confine?
La tensione nel Donbass è sicuramente alta e gli accordi di Minsk[1] sono stati ripetutamente violati da ambo le parti, tuttavia seppur modificato nel tempo l’atteggiamento del governo ucraino (di recente ha colpito numerosi interessi economici russi in Ucraina) non si può dire guerrafondaio. Tanto basta per scatenare una guerra d’aggressione? O piuttosto è un segnale per testare quanto in là siano disposti a spingersi il nuovo presidente americano Joe Biden e l’Unione Europea?
Fin dal suo insediamento Biden si è detto pronto a contrastare l’espansionismo russo e la sua recente dichiarazione pubblica nella quale ha definito Putin un assassino hanno raffreddato le relazioni tra i due paesi. La risposta americana al dispiegamento di forze russe di fatto non si è fatto attendere: è chiaro che gli Stati Uniti con l’invio di due navi da guerra in Mar Nero non intendono accettare un’eventuale aggressione all’Ucraina. Se questo è un test per capire quanto l’occidente è disposto a spingersi in là per l’Ucraina, gli Usa l’anno decisamente superato. Così anche gli inglesi che hanno anch’essi negli scorsi giorni inviato due navi da guerra. Diversamente si può dire dell’Unione Europea che eccezion fatta per dichiarazioni di condanna formali e la richiesta di ritiro delle truppe al momento non si è spinta oltre. Pesano molto gli interessi tedeschi per il completamento del gasdotto Nord Stream 2 che una volta completato raddoppierà le forniture di gas russo alla Germania.
In realtà questa mossa di Putin potrebbe essere giustificata dalla necessità di agire per conservare l’attuale status quo favorevole alla Russia oltre che a “distrarre” l’opinione pubblica interna in vista delle prossime elezioni legislative.
Putin ha tutto l’interesse a congelare l’attuale assetto nella regione del Donbass. Finché la regione sarà dominata dai separatisti filorussi, l’influenza russa sarà garantita. Per la Russia annettere il Donbass (che già di fatto controlla) affrontando la reazione internazionale non avrebbe molto senso considerato anche il valore strategico del territorio (non è la Crimea!). In più l’occupazione ha il valore di rendere impossibile all’Ucraina entrare nella Nato (volontà ribadita anche recentemente proprio in seguito alle operazioni di confine) stante l’art. 5 del Trattato Atlantico[2]: nessuno vuole essere obbligato a intervenire militarmente per difendere l’Ucraina. Inoltre, il modo in cui si sono svolti i negoziati finora ha consentito alla Russia di presentarsi come potenza mediatrice e di ottenere così notevoli vantaggi.
Dal lato interno il governo negli ultimi mesi è stato messo in difficoltà dalle grandi proteste per la liberazione del leader dell’opposizione Alexei Navalny, oltre che a causa della cattiva gestione della pandemia e degli scadenti risultati economici. Certo un’operazione militare potrebbe aiutare a recuperare il favore dell’opinione pubblica ma non dimentichiamo che la Russia è un regime autoritario e come tale l’opinione pubblica non è grosso problema per Putin.
Una prima risposta alla crisi viene proprio da Mosca che ha accettato la proposta del presidente americano di organizzare un vertice russo-americano “per discutere dell’intera gamma dei problemi che devono affrontare USA e Russia”.
La crisi è aperta e allo stato attuale imprevedibile, tuttavia, ci sono spiragli di distensione; dovremo attendere i prossimi incontri al vertice per capire come si risolverà. Da europeista mi auguro che l’UE non rimanga a guardare e che non anteponga interessi economici alla pace ma colga questa occasione per mostrarsi finalmente una potenza in grado di competere in ambito internazionale.
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Protocollo_di_Minsk
[1] Art. 5 Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale. Ogni attacco armato di questo genere e tutte le misure prese in conseguenza di esso saranno immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza. Queste misure termineranno allorché il Consiglio di Sicurezza avrà preso le misure necessarie per ristabilire e mantenere la pace e la sicurezza internazionali. https://www.nato.int/cps/fr/natohq/official_texts_17120.htm?selectedLocale=it
Scrivi un commento