“Abbiamo dovuto prendere atto, con un ritardo pesante, che la paura è un grande attore sociale, con una sua autonomia capace di incidere non soltanto sui
nostri comportamenti ma sull’insieme di valori, regole e garanzie che circondano e disciplinano il nostro agire, quella cornice democratica che credevamo sufficientemente immutabile. Non è più così. Abbiamo preso di colpo coscienza di tutto ciò che abbiamo perso e che prima consumavamo vivendo, considerandolo un appannaggio naturale, dunque perpetuo. Potremmo dire che proprio per questa sospensione d’emergenza abbiamo provato un sentimento inedito, a cui non eravamo abituati: il sentimento della libertà mutilata”
(E. Mauro, Liberi dal male. Il virus e l’infezione della democrazia, Feltrinelli 2020).
Questo senso di mutilazione ci appesantisce e, dopo un anno di rinunce, induce ad una sorta di ribellione. Ribelli (apparenti) sono i negazionisti
che, nonostante la conta quotidiana di contagiati e morti, ritiene ancora il virus un nemico falso, se non addirittura inesistente. Ribelli (inconsapevoli) sono i più o meno giovani che sfidano il contagio a suon di assembramenti da happy hour o feste clandestine. Forse questi cittadini “irresponsabili” mostrano semplicemente tutti i sintomi della cosiddetta “pandemic fatigue”, un insieme di demotivazione e di fatica nel seguire i comportamenti protettivi necessari per fronteggiare l’emergenza sanitaria che sembra crescere gradualmente nel corso del processo pandemico, coinvolgendo emozioni, esperienze e
percezioni delle persone e dei sistemi relazionali e sociali entro cui sono inserite.
Sta di fatto che dopo un anno, siamo ancora in balia di un quasi confinamento domestico e continuiamo a tenere la conta dei contagi, dei decessi (tanti, troppi, proprio in questi giorni abbiamo raggiunto i 100mila), dei guariti, dei tamponi fatti e non fatti, e ora anche dei vaccini consegnati e (non) effettuati.
Se e quando arriverà il giorno in cui tutto questo sarà finito, probabilmente non sarà il momento del ritorno alla normalità. A quanto pare avremo una normalità nuova di zecca. “Due cambiamenti importanti stanno prendendo forma: la giustizi sociale è percepita come una cosa necessaria (semplicemente non vogliamo morire come vittime di un sistema sanitario pubblico senza risorse) e la scienza ha ritrovato il suo onore (non vogliamo morire in
un mondo dominato dall’idiozia). Il genere umano sta finalmente accettando il fatto che, per sopravvivere, deve abbandonare l’avidità istituzionalizzata e seguire i fatti, la verità e la morale”.
Chissà se la giornalista turca di Internazionale, Ece Temelkuran, la pensa ancora così a quasi un anno dal suo scritto sulla citata rivista.
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