In questo periodo sempre più tragico per le troppe vittime della pandemia, emergono ripensamenti e buone intenzioni che attendono però il momento di attuazione. Tra questi quello di rivalutare in termini di cittadinanza e di dignità, il lavoro di cura. Si tratta di una seria riflessione sul tema perché, guardando il lavoro di cura con gli occhi impastati dalla tragicità del momento, è chiaro che lo abbiamo declassato.
Ciò è evidente se guardiamo a come è stata cambiata la cura dell’amore verso il familiare, come l’anziano o il disabile, da parte dei caregiver che ancora attendono un riconoscimento. Da momento “dedicato” alla famiglia, con sentimenti del dono e dell’amore verso il familiare fragile, alla cura delle cosiddette badanti.
La complessità della vita e del lavoro ha, nell’indifferenza della politica, lasciato sole le famiglie. Lo stesso lavoro di cura avrebbe richiesto maggiore professionalità, ma nessuno ha saputo dare una risposta. Le famiglie si sono dovute “arrangiare” nell’affrontare le tante e complesse difficoltà di cura delle persone più fragili, inventandosi un “welfare fatto in casa“.
Le badanti, è bene sottolinearlo, sono state una manna venuta dall’Est. Loro stesse alla ricerca di una propria sopravvivenza e riscatto. Il fenomeno ha del sorprendente e del profetico. In un momento di dilaganti sentimenti di pregiudizio quando non di razzismo nei confronti dello straniero, l’atteggiamento verso le badanti è passato dalla totale diffidenza per il diverso, al dare a queste persone le chiavi di casa e affidare senza porci tanti problemi le persone a noi più care. In un certo senso è come se tutti i muri del pregiudizio si fossero sgretolati in un sol colpo. Ma accanto a questo aspetto positivo, si è ulteriormente penalizzato il senso è il valore del lavoro di cura, senza mai pensare che il suo apporto è indispensabile.
Oggi, paradossalmente anche a causa della pandemia, lo si sta rivalutando. Purtroppo manca ancora un disegno organico. Solo ora si comprende che il prendersi cura necessita di professionalità; dedizione e amore possono solo in parte sopperire. La professionalità non si trova per strada e va costruita in tutti gli ambiti dalla formazione, Università comprese.
Un incentivo serio per rimediare agli errori passati può venire dalla proposta, “Costruire il futuro dell’assistenza agli anziani non autosufficienti” elaborata dal Network Non Autosufficienza (NNA), promossa da diversi enti del sociale. Ricostruire e ricollegare un progetto organico, con l’obiettivo di una migliore, multifunzionale e personalizzata assistenza agli anziani non autosufficienti, facendo leva sulla promozione della domiciliarità. La proposta vuole contribuire al mandato del Ministro della Salute di “formulare proposte per riorganizzare il modello assistenziale sanitario e sociosanitario dedicato alla popolazione anziana” che evidenzia per le diverse professionalità del lavoro di cura una necessaria ed adeguata formazione.
Ecco, forse solo così potremo rimediare a decenni di mancato riconoscimento di un lavoro che, come direbbe mia mamma, è un lavoro d’oro.
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