Strumenti inadeguati per obiettivi imprescindibili
Henry Kissinger, discutibile premio Nobel per la pace del 1973, spende molte pagine di un suo famoso libro per dirci che nella storia non è mai esistito un ordine mondiale globale, e tanto meno esiste ora. Se non c’è un ordine, c’è però la crescente coscienza collettiva dell’interdipendenza e della connessione fra tutti gli abitanti del pianeta, alle prese con le gravi conseguenze sull’ecosistema della ingombrante presenza umana. C’è la volontà di cercare la cooperazione, promuovere la pace e sconfiggere povertà e malattie operando su scala sovranazionale. C’è l’idea che dobbiamo custodire il creato, perché non abbiamo un pianeta B. La concretizzazione di queste istanze avviene spesso attraverso organizzazioni internazionali che ponendosi al di fuori o al di sopra della competizione fra le nazioni cercano di realizzare obiettivi collettivi.
Ma di organizzazioni internazionali ce ne sono molte, forse troppe, e la loro azione non è sempre efficace. Quante ne conosce ciascuno di noi? Possiamo citare alcune sigle di agenzie dell’ONU: UNESCO, UNICEF, ILO, UNHCR, WHO, FAO, ECHO, IFAD, ICRC, WFO, WTO. Oppure organizzazioni dai fini nobili come WWF, Greenpeace, Amnesty International, Save the Children, Emergency, Medici Senza Frontiere. Ma ci sono anche le trenta agenzie decentrate dell’Unione Europea, sconosciute ai più, e numerose organizzazioni africane, americane, asiatiche, eccetera. Insomma, le organizzazioni internazionali sono molte e diverse e ci vorrebbe molto spazio per analizzarle. Ciò che dobbiamo sapere è che sono importanti perché operano in ottica sovranazionale, ma che la loro azione spesso è insufficiente perché il contesto internazionale è sostanzialmente anarchico: ogni nazione fa da sé. L’ONU, che è forse la più importante di tutte le organizzazioni internazionali, ha infatti fallito più volte proprio il suo obiettivo principale, la salvaguardia della pace. Ma abbiamo avuto molte altre delusioni. Abbiamo visto le istituzioni finanziarie mondiali incapaci di prevedere e prevenire la crisi del 2007. Abbiamo visto l’Organizzazione per il commercio mondiale paralizzata dai dazi di Trump. Abbiamo visto l’Organizzazione mondiale per la Sanità sottovalutare il COVID e impegnarsi a farci credere che è partito da Wuhan per caso. Abbiamo visto le conferenze sul clima, ultima la COP26, ignorare le sollecitazioni della società civile e dei nostri giovani. Vediamo l’Europa incapace di proporre una qualunque strategia e politica comune sulla tragedia dei migranti. Vediamo prevalere i localismi, le visioni miopi, le interpretazioni ideologiche della realtà. Le istituzioni sovranazionali appaiono inadeguate, costose, burocratiche: eppure, non c’è un’altra strada. È necessario poter guardare oltre gli egoismi degli stati nazionali.
Il futuro appare straordinariamente complesso. Le crisi possono manifestarsi improvvisamente, trovarci impreparati e travolgere interi sistemi economici e politici. Non possiamo affrontarlo con gli strumenti e le logiche del passato. Serve la possibilità di fare scelte in ottica planetaria. Serve ripensare il ruolo dei principali organismi internazionali, che dovrebbero essere meno dipendenti da stati e governi. Serve una mentalità di pace, perché più che mai in questi giorni sappiamo che senza la pace non c’è nulla, non c’è civiltà, non c’è progresso, non c’è ricchezza, non si può lavorare sulle reali emergenze del pianeta. Costruire il futuro è il compito principale della politica e la politica deve tornare a guardare alto e lontano, perché è giusto operare bene in ambito locale, ma sono logiche globali quelli che davvero determinano la nostra prospettiva comune. Questa è la strada, il rafforzamento di organizzazioni e strutture che consentano concretamente di pensare e agire in ambito internazionale. Non per dare un ordine al mondo, ma per evitare che il disordine porti al collasso della nostra stessa civiltà. Un obiettivo possibile è il completamento della costruzione europea e il disegno di una federazione di nazioni, un sogno chiamato Stati Uniti d’Europa.
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