Capita ormai spesso di chiedersi cosa l’avvento del digitale comporti in termini di relazioni, abitudini, vita famigliare e lavorativa.
Intanto nella hit parade delle cose da non dimenticare sotto l’ombrellone, ci porteremo zoom, skype e altre diavolerie da ufficio smart insieme ai loro “effetti collaterali”, come la “zoom fatigue” fenomeno in ascesa, non ancora ufficiale, ma che già mostra segni imperituri sul funzionamento del cervello. Per approfondimenti si rimanda ad Andrew Franklin, professore associato di cyberpsicologia alla Norfolk State University della Virginia e ai diversi studi ormai sdoganati anche dalla National Geographic tracciando così nuove frontiere della percezione sospesa tra ipervirtuale e quella del “nuoce gravemente alla salute”. Restando in tema di cervelli, senza sorvolare distanze oceaniche, abbiamo deciso di scomodare due figure apparentemente lontane, anzi lontanissime, ma che hanno in comune una qualità che dovremmo tenerci tutti ben stretta, ovvero quella di non essere banali.
Proviamo dunque a leggere, fra le righe del cambiamento, lo scorrere del paradigma da concetto astratto a stato di fatto, incuneandoci dapprima in un distretto simbolo dell’indistrai bresciana e internazionale, il, con Elisa Fossi dell’Ufficio HR del gruppo AB di Orzinuovi e la Dirigente Scolastica dell’Istituto comprensivo di Leno Vanda Mainardi. Cominciamo questo angolo di riflessione “total pink” attorno ai dilemmi Covid e innovazione digitale partendo dal mondo delle risorse umane, lato azienda.
Elisa, come si innesta la tua esperienza professionale nel gruppo AB e soprattutto come state vivendo le continue evoluzioni nel settore in cui siete leader. Nel corso della vostra storia avete già assistito a un cambio di paradigma di questa portata?
Mi occupo di Talent Acquisition all’interno della funzione HR da quasi quindici anni. Ho partecipato alla costituzione di questa funzione, voluta dalla proprietà allo scopo di mettere veramente la persona al centro oltre che investire sul capitale umano a disposizione. AB è da sempre una realtà caratterizzata dalla flessibilità, si adatta alle necessità dei diversi mercati in cui è presente e quindi molte sono state le iniziative di evoluzione che abbiamo vissuto nel tempo. La pandemia ha avuto un ruolo importante di acceleratore rispetto ad esempio al progetto di welfare aziendale che stava iniziando a prendere forma. La propensione della società a investire in progetti di digitalizzazione già aveva portato infatti la Direzione HR a proporre soluzioni che sfficientassero le modalità di lavoro, anche in termini di work life balance. In questo senso è ormai fenomeno noto che le distanze si siano accorciate sempre di più negli ultimi anni, e il tempo viene gestito in modo più efficace. Prendiamo come esempio la gestione dei meeting: con i clienti o i candidati esterni, nella fase pre covid, la tendenza era quella di muoversi e incontrarsi di persona, affrontando molto spesso viaggi onerosi sia in termini di costo che di tempo. Oggi è possibile snellire questo processo, dedicando l’incontro in presenza solo ad alcune fasi degli incontri. Lo smart workingpermette inoltre, a chi svolge funzioni che non hanno carattere operativo, di investire meglio il tempo risparmiato per il communting casa-lavoro.
Cosa ne pensi della virtualizzazione dei rapporti all’interno del contesto lavorativo. Credi siano opportunamente equilibrati rispetto al contatto umano e all’energia potenziale tra le persone?
Lo reputo un passaggio obbligato per “stare al passo coi tempi” e continuare ad essere appealing rispetto alle nuove generazioni, sempre più digitali. Ovviamente, queste modalità non devono del tutto soppiantare quelle de visu, che resta importante per coltivare i rapporti interpersonali tra i colleghi. Detto questo credo sia comunque importante potersi vedere, anche se a distanza. Tra noi colleghi, ma anche con i candidati che incontro a colloquio, la tendenza è quella di guardarsi in faccia durante i meeting, credo sia il primo passo per evitare di vedere la relazione asettica, sfruttando appieno le potenzialità del mezzo.
Non credi che alla lunga queste nuove modalità di interazione portino a conseguenze negative, per certi versi?
È tema che reputo fortemente legato alla personalità di ciascuno. Nel mio caso, ad esempio, lavorare da remoto ha enormi vantaggi in termini di efficienza; il non essere interrotti da fattori esterni come quando sei in ufficio aiuta ad aumentare la produttività e a rimanere concentrati sull’obiettivo da perseguire. A volte però questa “fluidità” monotona potrebbe portare a una sorta di alienazione e all’esigenza di ritagliarsi degli spazi per delle attività in team. La situazione pandemica d’altronde ci ha costretti a scardinare le tradizionali modalità lavorative; mi reputo fortunata di lavorare per un’azienda che da sempre investe sulle nuove tecnologie. Mi ha permesso di garantire continuità lavorativa, in un periodo in cui, sappiamo bene, non è stato possibile per molti.
Cosa ti aspetti dal futuro, immediato o prossimo che sia.
Il mio auspicio si tradurrà in realtà a breve, quando sarà possibile continuare ad alternare il lavoro in presenza con quello da remoto. Mi auguro in maniera altrettanto convinta che questa tendenza ad evolvere dal punto di vista tecnologico e di snellimento dei processi in generale si possa ritrovare anche in contesti extra lavorativi, nelle PA, nelle scuole, negli enti pubblici in generale, e che non rimanga solo una specificità delle aziende private…
E a proposito di “contesti extra” come la scuola, proviamo a fare un salto quantico all’Istituto capofila d’eccellenza di una schiera di sognatori “senza zaino” (l’IC di Leno è l’unica scuola bresciana ad aver aderito al circuito su scala nazionale) e allo stesso tempo ambasciatrice di piccoli progetti così carichi di innovazione che la stessa agenda digitale impallidirebbe. Parliamo con la Dirigente Mainardi di salute della scuola con e senza covid, al passato e al presente, con occhi lucidi e mente aperta, oltre gli steccati della didattica.
Cara Vanda, ho conosciuto il tuo impegno nella costruzione di Reti, mentre ci spieghi un po’ il tuo percorso professionale, parlaci dell’altra rete a cui tu e la tua scuola (come tutte) siete appese, quella del web….
La mia è una storia che parte da lontano e da cui le competenze si sono affiancate a una spiccata sensibilità come formatrice, anche nell’ambito di un percorso professionale al servizio di Scienza della formazione primaria all’Università Cattolica dove ancora tengo un laboratorio di Didattica Generale. Sono Dirigente scolastica dal 2007 all’IC Di Leno dove cerco di imprimere la mia sensibilità anche attraverso progetti innovativi, di ricerca e senza dare mai per scontato le potenzialità degli alunni, oltre che del personale docente. La pandemia ha rappresentato per la scuola un’importante occasione per ripensare i modelli educativi e didattici. Da un punto di vista educativo si è sperimentato un diverso modo di relazione più basato sull’accompagnamento e il confronto fra docenti e studenti. Nelle scuole medie e superiori il rapporto docente-alunno ha conosciuto aspetti di collaborazione inediti, dovuti alla maggiore competenza dei ragazzi in relazione all’uso delle tecnologie. Inoltre, i tempi della DaD erano spesso co-progettati così come gli strumenti da utilizzare. Potremmo dire che si è dato un impulso interessante alla personalizzazione dei processi di apprendimento da tempo auspicati a livello normativo. Da un punto di vista didattico sono saltati molti modelli tradizionali: si è registrato in modo evidente un impulso all’innovazione tecnologica che nessuna sperimentazione avrebbe potuto implementare in modo così diffuso, ma sono anche altri gli aspetti interessanti che sarebbe opportuno mantenere in futuro (utilizzo di strumenti diversificati, valutazione ‘mite’ e autentica, essenzializzazione dei contenuti disciplinari, trasversalità dei saperi). L’alleanza educativa con le famiglie non è stata interrotta, anzi, il fatto che fosse la scuola ad entrare nelle case, ha evidenziato la funzione insostituibile dell’insegnamento per l’apprendimento, restituendo valore a una scuola non sempre valorizzata nella sua mission culturale.
Una delle mission che ti sei data è certamente quella di costruire una scuola a “misura di tutti”, aderendo e diffondendo la Carta della terra come bussola identitaria, non solo per il mondo scolastico. Come secondo te si combinano gli aspetti educativi a quelli tecnologici?
Lo dico in maniera molto semplice: la Carta della Terra oltre a indicarci la via da seguire, rappresenta un messaggio di speranza. La tecnologia è uno strumento nelle mani dell’uomo; a noi il compito di farne un uso consapevole, rispettoso dell’ambiente, solidale e pacifico.
E credi che anche la Dad vada in questa direzione?
La DaD ha rappresentato per la scuola un salto di qualità da mantenere: in futuro si dovrà poter contare su infrastrutture e strumenti digitali divenuti insostituibili non solo nella didattica, ma anche nella nostra vita quotidiana. Resta naturalmente imprescindibile il ruolo strategico dei docenti rispetto alla progettazione: scelta degli obiettivi, dei contenuti, delle modalità di conduzione della DaD, nonché delle modalità di valutazione e autovalutazione dei percorsi di apprendimento. E resta anche l’attenzione per le situazioni di maggiore fragilità, dovute principalmente alla condizione sociale e culturale che la DaD ha, in un certo senso, evidenziato e per le quali si dovrà provvedere auspicando investimenti nella formazione dei docenti e in un maggior numero di risorse a disposizione.
Ci saranno secondo te conseguenze misurabili, anche negative, rispetto a questa evoluzione non solo didattica?
Come per tutte le esperienze forti e intense che ci riguardano, anche la pandemia ha sicuramente inciso nei rapporti professionali oltre che personali. Chi ha saputo cogliere tutto questo come sfida per ripensare la propria esistenza e la propria dimensione professionale rimettendo in fila i valori a cui ci si ispira, si troverà più ricco di prima. Sono sempre le situazioni difficili che ci aiutano a crescere e a immaginare un futuro più interessante e nuovo.
Cosa porti a casa da questi mesi di lavoro a stretto contatto con l’innovazione dei processi?
Di questi due anni di scuola, in tempi di pandemia, portiamo a casa tutto: i bilanci a scuola devono pareggiare, sempre. Il mio Istituto Comprensivo, che da cinque anni ha scelto di aderire al modello della scuola “senza zaino” ha colto questo tempo così difficile come occasione per sperimentare i valori a cui il ‘senza zaino’ si ispira: ospitalità, comunità, responsabilità. Gli stessi ideali che sono alla base della nostra Costituzione. Gli stessi sentimenti emersi e auspicati nei momenti più bui della pandemia. Lo sguardo per il futuro dovrà perciò essere arricchito da quel senso di responsabilità verso il pianeta e il genere umano che la Carta della Terra ci invita a contemplare.
Come chiosare queste due testimonianze. Non saprei. Forse solo confessando ai lettori di Battaglie Sociali come le ho realizzate: via web? In conference call? Dal vivo? Tramite cellulare? Lascio in sospeso questo dilemma, convinto che a volte è bello abbandonarsi al “mistero buffo” che sta alla base delle relazioni umane e che credo abiti a pieno titolo spazi digital e non: la curiosità!
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