E’ stato recentemente pubblicato un volume di memorie e testimonianze per commemorare Giovanni Landi, leader sindacale e politico (Giovanni Landi. Un trascinatore in campo sindacale e politico. Scritti e testimonianze, Fondazione Civiltà Bresciana, Brescia 2021).
Contiene tra gli altri contributi del Sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, di esponenti politici di livello nazionale (come Guido Bodrato e Pierluigi Castagnetti) e bresciano (Piero Francesco Lussignoli, Alfredo Bazoli, Franco Gheza, Franco Tolotti e Alberto Panighetti) e soprattutto di presidenti e dirigenti aclisti bresciani: Roberto Rossini, Sandro Albini, Riccardo Imberti, Luigi Gaffurini, Lorenzo Paletti, Daniela Del Ciello, Sandro Pasotti.
Mancano due testimonianze che forse avrebbero aiutato a far meglio comprendere i caratteri dell’impegno politico e sindacale di Gianni: Martino Troncatti e Marco Castrezzati. Ma nel complesso emerge un ritratto concreto ed efficace, sincero e non retorico.
Giovanni Landi nasce il 18 novembre 1935 a Brescia, nel quartiere rosso di Sant’Eufemia. Frequenta giovanissimo l’oratorio ove operava il curato don Guerino Franzoni (1915-2011), impegnato a sostegno della Resistenza, e il maestro Aldo Lucchese delle Fiamme Verdi. Gianni, così chiamato è dagli amici, vive da giovane l’esperienza dell’Azione Cattolica. Figlio di Bruno, tornitore specializzato, a 16 anni nel 1952 entra all’OM a seguito di una prassi in uso in quei tempi in cui si usava assumere i figli dei dipendenti. A 17 anni entra nella “scuola allievi” dell’OM e, a soli 22 anni, viene eletto nella Commissione Interna di questa grande fabbrica.
La formazione sindacale di Giovanni si unisce alla formazione politica dopo l’incontro con Michele Capra, partigiano, impegnato nella DC, nella CISL e allora presidente provinciale delle ACLI.
Nel 1959 la battaglia contro il premio anti-sciopero della FIAT di Valletta rappresenta un passaggio di grande rilevanza per il gruppo della FIM dell’OM e Landi, con Michele Capra, è un protagonista di primo piano.
Oltre alla FIM-CISL, frequenta le ACLI come luogo di confronto sulle politiche sociali, aiutato in questo con figure di sacerdoti sensibili ai temi del lavoro. A Brescia vi era un grande fermento nel sindacato, nelle ACLI e nella DC e Gianni vive con grande impegno tutti gli appuntamenti di quella stagione, convinto che la società civile deve offrire risorse umane alla politica.
Nella DC si era sviluppato un aspro e intenso confronto interno sulla possibile apertura a sinistra e sul dialogo con i socialisti, che sfocerà nel centro sinistra nei primi anni Sessanta. Capra e le ACLI sono schierati a favore del centro sinistra.
Nell’ottobre del 1960, il gruppo di giovani guidato da Gianni e da Egidio Papetti conquista la maggioranza nel congresso provinciale di Gioventù Aclista, ma due giorni dopo Landi e Papetti vengono espulsi dalle ACLI “per indegnità”, perché avevano criticato la linea della DC nazionale ancora contraria al centro sinistra. Ricorrono ai probiviri e l’espulsione viene annullata. Il 15 novembre 1961 Giovanni entra nel Consiglio Provinciale delle ACLI, eletto dall’VIII Congresso provinciale, ma vi rimane solo per un mandato (allora di due anni) perché il gruppo guidato da Michele Capra si disimpegna progressivamente dalle ACLI. Nel 1959 Capra era infatti ritornato molto deluso dal congresso nazionale della DC di Firenze e rimproverava le ACLI di non impegnarsi abbastanza per cambiare la linea della DC, allora diretta dai dorotei e dai conservatori.
Il 14 gennaio 1962, in occasione del XII congresso provinciale della DC bresciana, risulta tra i primi non eletti al Comitato provinciale del partito, insieme a Mino Martinazzoli.
Inizia in quegli anni per Gianni un lungo periodo di impegno nella DC, che durerà fino al 1991. L’ambito al quale partecipa attivamente, e nel quale si guadagna stima e consolida il suo ruolo di leader, è il gruppo dell’OM a livello sindacale, e la corrente di Forze Nuove, con il circolo Achille Grandi, divenuto successivamente circolo culturale Michele Capra (popolarmente detto “Circolino”) a livello politico. All’interno dell’alleanza di Provincia democratica che univa dal 1959 tutta la sinistra democristiana bresciana (basisti e Forze Nuove), partecipa nel 1963 alla campagna elettorale a favore dei fanfaniani Annibale Fada e Fabiano De Zan e del moroteo Franco Salvi, designato candidato dalle ACLI, che risultano tutti eletti per la prima volta alla Camera. Nel 1968 è tra i firmatari della candidatura alla Camera dei Deputati di Michele Capra, e lo sostiene attivamente e con grande impegno nella campagna elettorale. Capra viene eletto e diviene il primo parlamentare del gruppo. Il 1968 è anche l’anno delle nozze di Gianni con Lucia Botticini, dalle quali nasceranno i figli Giusi (1969) e Luca (1973).
Il 1968 è un anno di straordinarie trasformazioni nel nostro Paese, tra lotte operaie, nascita del movimento studentesco, fermenti conciliari nella Chiesa. Le ACLI guidate da Livio Labor individuano nell’unità sindacale lo strumento determinante per cambiare la società italiana, mentre abbandonano il collateralismo con la DC e pongono il tema del pluralismo e della libertà di voto per i cattolici. La contestazione studentesca che nell’autunno del 1968 inizia a manifestarsi a Brescia con scioperi degli studenti medi, con cortei e manifestazioni di massa in città per richiedere il diritto d’assemblea, suscita giudizi contrastanti nel mondo cattolico, che variano dalla condanna totale da parte dei più conservatori, all’attenzione critica da parte delle ACLI, della CISL e della sinistra DC. La posizione di Landi e dell’intero gruppo di Forze Nuove è ben espressa da Mario Fappani, che scrive sul settimanale diocesano: “Qualcuno, forte dell’appoggio del Giornale di Brescia e della Notte, tenta di liquidare la complessa problematica suscitata dalle agitazioni, circoscrivendola ad episodi di goliardismo precoce, minimizzando il numero degli «scioperanti», rimarcando la voce di genitori e cittadini preoccupati per questo rigurgito di protesta. Ancora una volta l’anima della conservazione esce allo scoperto nei momenti meno opportuni e […] mostra il volto noioso di una deprecabile e pericolosa pigrizia mentale”.
Alle prime elezioni regionali, nel 1970, la componente DC di Forze Nuove candida Sandro Fontana, che verrà eletto consigliere e Gianni si impegna generosamente per sostenerlo durante la campagna elettorale. Sempre nel 1970 lancia con Michele Capra e Sandro Fontana la candidatura di Cesare Trebeschi alla presidenza dell’ASM.
Nella prima metà degli Anni Settanta, la FIM di Brescia guidata da Franco Castrezzati, era la federazione sindacale più vicina alla corrente di Forze Nuove, e si trovava in contrapposizione con i vertici nazionali del sindacato dei metalmeccanici, sia sul tema del ruolo politico del sindacato, sia su quello dell’incompatibilità tra ruoli sindacali e cariche nel partito della DC. Il partito della Democrazia Cristiana incominciava ad essere visto anche nella FIM CISL quasi come un nemico della classe operaia per il suo carattere interclassista; si comprende allora quanto la situazione fosse diventata difficile per Gianni Landi e in genere per i lavoratori che facevano riferimento a Forze Nuove e che ritenevano complementare e necessario continuare ad impegnarsi sia nel sindacato, sia nel partito. Nel 1972, in occasione del congresso nazionale straordinario di scioglimento della FIM per confluire nella FLM, Landi si contrappone alla tesi di Carniti dell’antagonismo permanente in fabbrica e nella società capitalistica, poiché temeva che nel Paese la caduta delle ideologie rivoluzionarie del ‘68 avrebbe potuto prima o poi travolgere anche il riformismo possibile. L’errore politico della FIM nazionale era per Gianni di puntare su una soluzione alla lunga perdente, invece di consolidare il confronto tra le culture politiche realmente presenti tra i lavoratori delle fabbriche, quella comunista e quella cattolico democratica. Per lui il cammino dell’unità doveva essere continuato, ma non per motivi ideologici, bensì per motivi politico sindacali, per rompere il monolitismo delle organizzazioni ancora schierate l’una contro l’altra.
Durante la prima metà degli anni Settanta, Landi opera politicamente con tutto il gruppo di Michele Capra all’interno della DC con la preminente finalità di rendere concreta la prospettiva del “progressivo inserimento delle forze popolari nello Stato” che ha sempre ispirato l’impegno politico della corrente della sinistra democristiana fin dalla nascita del centro sinistra. Senza una cultura del lavoro, è la convinzione di Capra e Landi, il centrosinistra non avrebbe significato. La battaglia da combattere è soprattutto all’interno della DC per impostare una autentica politica delle riforme e sostenere le lotte del movimento dei lavoratori. Non volevano che il cammino intrapreso nel centrosinistra subisse una semplificazione “bipolare” implicitamente proposta da chi immaginava di affidare alla DC il ruolo di conservazione e pensava di vedere nell’unificazione socialista il partito del progresso.
Nonostante questa comune visione politica, la corrente democristiana di Forze Nuove va incontro nel 1971 ad una dolorosa e polemica scissione tra il gruppo guidato da Sandro Fontana, appoggiato da Carlo Donat-Cattin a livello nazionale, da un lato, e quello guidato da Capra e Landi dall’altro, che farà riferimento a Guido Bodrato. La profonda divisione politica tra le due componenti inizia a Sirmione, in occasione del XVIII congresso della Dc bresciana (6-7 febbraio 1971), quando il gruppo di Capra e Landi critica la sinistra DC di Padula e Martinazzoli e lo stesso Sandro Fontana, accusati di non opporsi con decisione alla linea del segretario nazionale Forlani che aveva favorito la nascita di un governo di centro destra, il cosiddetto governo Andreotti-Malagodi. Capra accusa la sinistra DC di non battersi fino in fondo per inserire nel partito rappresentanti del mondo del lavoro e della classe operaia. Sandro Fontana li critica duramente e in un comunicato stampa afferma: “Ai Landi, Capra e Papetti, nella forma più serena e tranquilla, diciamo che la loro scissione è gratuita e non sarà mai capita da nessuno; che, in quanto tale, essa rappresenta l’attentato più grave finora portato contro la tradizione del movimento popolare cattolico bresciano. E che la loro azione di guastatori è destinata alla sterilità ed all’isolamento oppure a farsi strumento nelle mani dell’egemonia clerico moderata bresciana.” Nonostante i ripetuti attacchi della sinistra DC bresciana e del gruppo di Fontana, Michele Capra, Giovanni Landi e il consigliere regionale Mario Fappani non arretrano e danno vita al Circolo culturale Achille Grandi, con sede a Brescia in vicolo San Clemente, 25a.
Giovanni Landi con Gervasio Pagani si impegna nel corso dei primi mesi del 1974 a sostenere attivamente l’appello dei cattolici democratici per il no nel referendum sul divorzio, promosso da Raniero La Valle, Pietro Scoppola, padre Davide Turoldo, i sindacalisti Pierre Carniti e Franco Bentivogli e l’ex presidente nazionale delle ACLI Emilio Gabaglio. La scelta del no al referendum lo vede a Brescia a fianco degli assessori democristiani Luigi Bazoli e Battista Fenaroli, dei sindacalisti FIM guidati da Franco Castrezzati e dagli aclisti Mario Faini, Sandro Albini e Mariateresa Bonafini, ma in aperto contrasto con tutto il gruppo dirigente della DC bresciana e nazionale. A Brescia lo studio di Stefano Minelli diventa il punto di riferimento per intellettuali e operai che condividono i motivi culturali e politici dell’appello nazionale. In quel periodo Landi inizia l’amicizia e la collaborazione con Pietro Scoppola.
Nella seconda metà degli anni Settanta, Landi è di nuovo protagonista nel contesto politico del compromesso storico, con l’elezione di Benigno Zaccagnini a segretario nazionale della DC e lo sviluppo della strategia di attenzione al PCI di Aldo Moro. Nel corso del 1975 la lotta contro la segreteria Fanfani a livello nazionale si accompagna all’impegno per il rinnovamento della DC bresciana, condotto in stretta coordinazione con i basisti di Padula e Martinazzoli e con i morotei di Franco Salvi, che culmina nella appoggio convinto alla candidatura a Sindaco della città di Cesare Trebeschi, in sostituzione di Bruno Boni, che guidava l’amministrazione comunale dal lontano 1948 e che era ormai diventato il simbolo più visibile delle componenti moderate e conservatrici della DC e del mondo cattolico bresciano.
A Roma il 5 novembre del 1975 si tiene un convegno sul tema Per una proposta di rinnovamento politico. Da questo appuntamento nasce la Lega Democratica che ha promosso tanti convegni di rilevante spessore culturale e politico, ai quali i bresciani hanno dato un grande contributo.
Dopo il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, Giovanni Landi e Gervasio Pagani in accordo con Pietro Scoppola, ritengono necessario dotare i cattolici democratici di uno strumento culturale capace di dare spessore alla nuova fase dell’esperienza politica. A Brescia, con Luigi Bazoli, Stefano Minelli e Leonardo Benevolo e a livello nazionale con Pietro Scoppola, Achille Ardigò, Ermanno Gorrieri, Paolo Prodi, Mario Gozzini e Paolo Giuntella, grazie anche alla disponibilità di don Mario Pasini, Landi contribuisce a far nascere la rivista «Appunti di Cultura e Politica», che aveva circa cinquemila abbonati. L’impegno di Landi nella Lega Democratica non viene mai meno durante i dodici anni di vita dell’organizzazione.
Nella primavera del 1976, quando il presidente della Repubblica Giovanni Leone scioglie anticipatamente le Camere, l’on. Michele Capra, che era stato Deputato per due legislature, dichiara di non volersi ricandidare. A molti Landi appare come il candidato naturale per sostituirlo, proprio per il prestigio e l’autorevolezza che aveva conquistato in vent’anni di instancabile impegno sindacale e politico. Invece, sorprendendo un po’ tutti, Gianni rinuncia a candidarsi e si fa, anzi, promotore e sostenitore della candidatura di Francesco Piero Lussignoli, che verrà eletto. In questa occasione si manifesta in modo evidente un aspetto rilevante dell’attività politica di Landi, che pur impegnato generosamente e senza risparmiarsi sia nel sindacato, sia nella DC, non ambisce a raggiungere posizioni di vantaggio personale o cariche di prestigio, ma preferisce svolgere un ruolo di guida politica più attento ai contenuti e agli equilibri politici, cercando di collocare persone capaci e di sua fiducia nei vari organismi, sindacali, amministrativi o politici.
Sempre negli anni Settanta, Landi rafforza il suo impegno nel sindacato a favore dell’unità sindacale, convinto della forza e della stabilità che questo obiettivo può dare alle conquiste dei lavoratori. Ma è proprio nella FIM, il sindacato dei metalmeccanici della CISL, che si consuma forse la maggior sconfitta del pluridecennale impegno politico e sociale di Gianni, nel corso del lungo scontro, durante il 1976 e i primi mesi del 1977, tra la segreteria provinciale di Franco Castrezzati, appoggiata dal segretario nazionale Franco Bentivogli e la minoranza interna che faceva capo al gruppo dell’OM, guidato da Giovanni Landi e Luigi Gaffurini. Il gruppo di Landi accusava la segreteria della FIM di aver attribuito negli organi dirigenti del sindacato un ruolo predominante agli apparati e ai funzionari, con scarsa apertura all’apporto dei lavoratori e dei rappresentanti dei consigli di fabbrica, con il conseguente rischio di burocratizzazione del sindacato stesso. Ma il vero scontro consisteva nella diversa valutazione politica del processo di unità sindacale. Quella che poi si è dimostrata una minoranza molto combattiva all’interno della FIM di Brescia rivendicava il diritto dei lavoratori democristiani di pensare al processo di unità sindacale come funzionale al processo di confronto politico che si andava sviluppando tra tutte le forze riformatrici, compreso il maggior partito della sinistra.
All’opposto, Franco Castrezzati e la segreteria nazionale accusano la minoranza di Landi di comportamenti scorretti, di mancato rispetto delle decisioni degli organi democratici, di attentare all’autonomia del sindacato e di voler ripristinare una sorta di collateralismo con la DC.
Nel congresso provinciale FIM di Manerbio (26-28 aprile 1977) vi è la resa dei conti e la minoranza guidata da Landi, che conta circa il 30% dei delegati, a causa del sistema maggioritario da sempre in uso nella CISL per eleggere gli organi statutari, è totalmente esclusa dagli organismi dirigenti della federazione sindacale. Per Landi è una sconfitta sindacale ma non politica.
La nomina di Benigno Zaccagnini a segretario nazionale della DC, nel 1975, aveva portato un nuovo entusiasmo carico di speranza e aveva contribuito per qualche anno a rafforzare il peso e il ruolo della sinistra DC bresciana, che produce i suoi effetti fino alle elezioni politiche anticipate del 1979, quando Lussignoli è confermato deputato, nell’ambito della quaterna con Salvi, Padula e Gitti, che trionfa nelle preferenze degli elettori. Il successo della sinistra DC è ulteriormente rafforzato dalla conferma al Senato di Martinazzoli a Brescia e De Zan a Salò. Gianni Landi si impegna attivamente nella campagna elettorale, a sostegno di Lussignoli e della quaterna. Ma già l’anno successivo la situazione si modifica rapidamente. A livello nazionale, a seguito del famoso preambolo di Donat-Cattin, Flaminio Piccoli è eletto segretario nazionale della DC, e a Brescia il 17 marzo 1980 Riccardo Conti, alleato a Prandini e Fontana, è eletto segretario provinciale. Per la prima volta dopo oltre 15 anni, la sinistra DC bresciana è in minoranza.
Qualche mese prima, il 19 luglio 1979, la morte di Michele Capra aveva comportato l’assunzione di una nuova e maggiore responsabilità da parte di Landi che, di fatto, subentrava allo storico fondatore del gruppo, forte di una credibilità ed un autorevolezza che gli erano unanimemente riconosciute da tutti gli esponenti del Circolo, mentre il Centro culturale viene intitolato a Michele Capra e nel marzo 1980 comincia la pubblicazione della serie dei Quaderni.
La segreteria Conti non è però né stabile, né duratura, e già l’anno successivo, dopo il XXI congresso provinciale della DC, inizia una gestione unitaria del partito, che porta all’elezione unanime a segretario provinciale di Gervasio Pagani, insegnante, giovane esponente (era nato nel 1950) e stella nascente del Circolo Michele Capra.
I primi Anni Ottanta vedono Gianni Landi impegnato sia sul piano sindacale (dopo la bruciante sconfitta della vertenza FIAT del 1980 e la marcia dei quarantamila, si impone una riflessione sulla democrazia nelle fabbriche e sul ruolo stesso del sindacato) sia sul piano politico, con l’attivo impegno profuso per sostenere Luigi Gaffurini e Mariateresa Bonafini alle elezioni comunali del 1980 e Lussignoli alla Camera nelle elezioni politiche del 1983.
Il 1984 vede Landi protagonista della politica e delle cronache giornalistiche anche a livello nazionale. Infatti con il collega Lorenzo Paletti (della FIM e del Circolo Capra) e Pier Luigi Guizzi della FIOM trascina il cosiddetto movimento degli autoconvocati, che si era costituito nell’autunno precedente, a schierarsi contro il taglio della scala mobile deciso dal governo Craxi. Nonostante la contrarietà dei vertici nazionali, all’assemblea di Brescia promossa dagli autoconvocati (8 febbraio) partecipano 107 consigli di fabbrica e oltre 700 delegati. Lo sciopero indetto dai Consigli di fabbrica di ATB e OM per il 16 febbraio contro il decreto del governo Craxi, nonostante la netta contrarietà di CISL e UIL, ottiene larghissima adesione. L’esperienza degli autoconvocati si diffonde rapidamente anche a Torino, a Milano e in altre realtà industriali del Paese e culmina nella manifestazione nazionale della CGIL con gli autoconvocati a Roma, il 24 marzo, alla quale parteciparono oltre 6 mila lavoratori bresciani. Lorenzo Paletti è relatore ufficiale in piazza San Giovanni, in rappresentanza degli autoconvocati bresciani. La linea degli autoconvocati, decisamente criticata da FIM e CISL trova un coraggioso sostegno da Gervasio Pagani, segretario provinciale della DC, da cui però i vertici nazionali del partito prendono subito e pubblicamente le distanze.
In occasione della campagna elettorale per il referendum abrogativo del decreto sulla scala mobile, il 20 aprile 1985, Landi, assieme a Fausto Bianchetti, Lorenzo Paletti e Mario Prandelli, prende pubblicamente posizione per “un voto libero e responsabile” al referendum, schierandosi quindi in contrasto con la DC, la CISL e la FIM, che avevano dato chiare ed esplicite indicazioni di voto per il no. La scelta di Landi provoca la reazione irata e sdegnata del segretario della CISL, Aldo Gregorelli (che sarà eletto proprio quell’anno a succedere a Emanuele Braghini, che era segretario generale provinciale della CISL dal luglio del 1981, in seguito alla cosiddetta congiura dei “canossiani” ai danni di Franco Castrezzati), che afferma: “La scelta di Landi è un regalo inutile al sì ed assomiglia piuttosto ad una libertà di… incoscienza.”
Il 7 marzo 1987 Giovanni Landi è eletto segretario cittadino della DC grazie ad un accordo tra i bodratiani del circolo Capra e i prandiniani. Landi è eletto con il 55% dei voti, contro il 45% conseguito da Luigi Morgano, candidato dei morobasisti. Nella segreteria cittadina pretende di avere come stretto collaboratore Martino Troncatti, già delegato provinciale di Gioventù aclista e sindacalista FIM, che non era mai stato in precedenza iscritto alla DC.
Il clamoroso capovolgimento delle alleanze politiche (il segretario provinciale prandiniano Baronio solo sei mesi prima era stato eletto con il voto favorevole dei morobasisti e quello contrario dei bodratiani) suscita vasta eco nell’opinione pubblica e reazioni contrastanti. Un arrabbiatissimo Martinazzoli, riferendosi ai bodratiani, esclama: “se vogliono assumere il nome vero, questi amici si devono chiamare prandiniani.”
Le motivazioni della nuova alleanza nel comitato comunale della DC sono in primo luogo determinate dalle ormai imminenti elezioni politiche anticipate, oltre che a finalità di più ampio respiro. Lussignoli aveva concluso le tre legislature, sia pure tutte abbreviate da elezioni anticipate, e Giovanni Landi vuole eleggere alla Camera Gervasio Pagani, che per lui rappresentava il candidato ideale, in quanto, oltre ad essere giovane (aveva 36 anni), era molto capace e preparato ed inoltre anche molto conosciuto perché era stato segretario provinciale della DC dal 1981 al 1984, riuscendo a mantenere la gestione unitaria del partito e a creare, per quanto possibile, un clima di collaborazione tra le varie componenti. Tuttavia i morobasisti e lo stesso Martinazzoli avevano in più occasioni manifestato la loro indisponibilità a sostenere la candidatura di Gervasio Pagani nell’ambito di una quaterna di candidati alla Camera dell’area Zac, come quella in cui nel 1979 e nel 1983 era stato eletto Lussignoli. Pagani infatti aveva attaccato pesantemente tutti gli iscritti alla loggia P2 e aveva difeso l’esperienza degli autoconvocati, fortemente avversata dai morobasisti. Viceversa Prandini era molto ben disposto verso Pagani, non solo perché l’alleanza con i bodratiani gli consentiva di porre fine all’egemonia morobasista sulla città, ma soprattutto perché nutriva grande stima verso l’ex segretario provinciale, sia per la comune estrazione popolare, sia perché si sentiva con lui accomunato da un atteggiamento critico verso le élite tradizionali bresciane “economico-curiali” o “Brescia-connection” come Prandini soleva definirle.
Che l’alleanza tra Landi e Prandini non fosse solo finalizzata agli schieramenti interni per le elezioni politiche è confermato dal fatto che tale alleanza sarà riconfermata nel congresso del novembre 1987, quattro mesi dopo la tragica scomparsa di Gervasio Pagani.
Gianni Landi si impegna con tutte le sue forze nella campagna elettorale del 1987. Per la Camera, la quaterna morobasista, composta dai deputati uscenti Martinazzoli, Gitti e Rosini e dall’esordiente Aldo Gregorelli, si contrappone la quaterna frutto della nuova alleanza: ai prandiniani Bonetti e Ferrari e al forzanovista Gei, si aggiunge Gervasio Pagani. Il risultato del 14 giugno 1987 è fino all’ultimo incerto: Gei conquisterà il sesto posto con 32.408 preferenze, superando Pagani (32.231 preferenze) con un distacco minimo di 177 preferenze. Dall’analisi disaggregata delle preferenze si ricava immediatamente che i prandiniani hanno rispettato scrupolosamente gli accordi sulle preferenze e che i voti mancanti a Pagani sono quasi totalmente ascrivibili a Forze Nuove dei fratelli Fontana.
L’imprevista sconfitta non demoralizza troppo Landi e il circolo Capra e lo stesso Gervasio Pagani perché, già nelle prime settimane successive al voto, all’interno della DC nazionale si prospetta la candidatura a commissario europeo di Filippo Maria Pandolfi che, essendo il primo eletto nella circoscrizione Brescia Bergamo, dimettendosi avrebbe lasciato il seggio alla Camera al primo dei non eletti (come effettivamente avverrà). Forse proprio con questa ragionevole speranza, Gervasio Pagani parte con la famiglia per le vacanze estive. Il 13 luglio in una spaventosa tragedia della strada, sulla A 14 a S. Severo, nei pressi del casello di Foggia, Pagani e la sua famiglia perdono la vita.
Il riavvicinamento di Landi e del Circolo Michele Capra ai basisti e alla sinistra Dc bresciana avverrà solo nel 1990, in occasione dell’epica battaglia tra Prandini da un lato e Padula e Martinazzoli dall’altro per scegliere il Sindaco di Brescia, poiché i prandiniani si opponevano alla riconferma di Pietro Padula, che era stato Sindaco della città, dopo Cesare Trebeschi, dal 1985 al 1990.
Nel 1991 il circolo Michele Capra si spacca. Landi e Riccardo Imberti escono dalla DC e aderiscono alle Rete di Leoluca Orlando, mentre Lussignoli, Fappani e Papetti rimangono nel partito. A partire dalle elezioni del 1996 Landi partecipa con Romano Prodi e Arturo Parisi all’esperienza costitutiva dell’Ulivo che porterà il 27 febbraio 1999 alla formazione dei Democratici (col simbolo dell’asinello) di cui Prodi è il primo presidente, nei quali confluiscono sia la Rete, sia altre formazioni minori. Nel 2002 i Democratici confluiscono a loro volta nella Margherita (Democrazia è libertà era il nome ufficiale del partito) assieme al Partito Popolare (che aveva avuto come Segretari tra gli altri Mino Martinazzoli, Franco Marini e Pierluigi Castagnetti): in quell’occasione Gianni Landi si troverà di nuovo fianco a fianco nell’impegno politico con gli amici provenienti dall’esperienza del Circolo Michele Capra.
Infine nel 2007 Landi è tra i fondatori del Partito Democratico, nel quale militerà fino alla morte, avvenuta nel 2020.
Oggi, il lunghissimo impegno sociale e politico (oltre 60 anni) di Gianni, appare in tutta la sua importanza per la società bresciana. Landi e il circolo Michele Capra hanno influito significativamente sia sul piano delle idee e dei valori, contribuendo a edificare una visione e una prospettiva cattolico democratica, in sintonia con la dottrina sociale della Chiesa e con l’umanesimo integrale di Maritain, attenta a valorizzare l’apporto dei lavoratori in politica, sia per quanto riguarda le persone chiamate a rivestire ruoli decisivi nella politica e nelle istituzioni. Il Circolo Capra ha espresso due Deputati, lo stesso Michele Capra e Francesco Piero Lussignoli, un consigliere regionale, Mario Fappani, tre assessori della città, Egidio Papetti, Luigi Gaffurini e Franco Gheza, e un segretario politico della DC bresciana, Gervasio Pagani. Una lunga serie di presidenti provinciali e dirigenti delle ACLI sono riconducibili a quello che semplicemente era anche chiamato gruppo-Landi: Riccardo Imberti, Lorenzo Paletti, Luigi Gaffurini, Martino Troncatti, Roberto Rossini (che è stato anche presidente nazionale delle ACLI dal 2016 al 2021). Col senno di poi, si può osservare che proprio nella FIM e nella CISL, dove Landi si è a lungo impegnato, l’influenza e i risultati son stati nettamente inferiori.
La lunga vita politica e sociale di Landi è quindi stata coronata da tanti gratificanti risultati e anche da qualche dolorosa sconfitta, come si è visto. Sicuramente non è mai venuto meno il suo spirito di servizio, l’impegno generoso per la comunità, il disinteresse – molto raro ed esemplare in politica – per i suoi interessi personali. Si può quindi affermare che il decennale impegno di Gianni è stato una limpida esemplificazione della politica veramente intesa, che diventa, secondo la celebre definizione di San Paolo VI, una delle forme più alte di carità.
Maurilio Lovatti
Scrivi un commento