Gli Stati li hanno inventati gli uomini

Ma le città le ha inventate Dio

Avevamo cominciato a vederli all’opera all’inizio della scorsa legislatura. Li hanno subito chiamati “imprenditori della paura”. Erano quelli dei decreti sicurezza, dei respingimenti, dei blocchi navali e avevano costruito il consenso sulla pelle dei disgraziati. Sembravano evaporati. Ma sono tornati alla ribalta con il nuovo governo di destra-centro.

Alimentare le paure, enfatizzare le emergenze è la merce politica che sanno commerciare. Ma in ciò che papa Francesco ha definito non “un’epoca di cambiamento ma un cambiamento d’epoca”, c’è bisogno di far crescere la fiducia, non la paura. Consapevoli che le grandi crisi che ci hanno sfiancato e disorientato negli ultimi anni (crisi economica, pandemia, guerra, crisi energetica) possono trovare risposte lì, dove le persone vivono concretamente.

 

Alla base del cammino che abbiamo iniziato con la Fest’Acli l’estate scorsa, alla ricerca della “Città che vorrei”, abbiamo posto l’idea che non c’è una ricetta per risolvere i problemi globali, ma un metodo. Ce l’ha suggerito il sindaco Emilio Del Bono, quasi indicando una rotta alla prossima amministrazione. Si tratta di far crescere le relazioni perché «se le persone si incontrano, affrontano le grandi ansie, condividono le paure – che vissute in solitudine sarebbero mostruose – e individuano insieme le vie d’uscita. Affrontare le paure come comunità le fa percepire in modo diverso e le rende governabili».

Le grandi sfide, infatti, esigono risposte globali ma alimentano anche ansia, scetticismo e, molto spesso, inerzia. Pensiamo alla questione ambientale e alle conferenze mondiali per ridurre le emissioni di CO2. Solenni impegni per frenare l’innalzamento delle temperature, ma poi Cina e India che si sfilano, e i Paesi in via di sviluppo ci ricordano tutti i danni che noi occidentali abbiamo creato. Così cresce la diffidenza, lo scoraggiamento, il disimpegno, perché “tanto non serve a niente”.

E questo aumenta la sfiducia verso gli altri, verso la comunità, verso la possibilità di risolvere i problemi, verso la politica, intesa come quell’idea strepitosa che don Lorenzo Milani e i suoi ragazzi avevano posto al centro della Lettera a una professoressa: «Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia».

C’è una chiave di lettura – interessante anche per la riflessione pubblica – che attraversa questo numero di Battaglie sociali, sul futuro di Brescia incamminata verso le elezioni amministrative: Dove si affrontano le grandi sfide? Dove si misurano i risultati? Nelle dimensioni territoriali locali. Perché nel territorio si può agire, si può far crescere una pedagogia civile, una fiducia che genera speranza e chiama le persone a farsi corresponsabili.

Gli esempi sono diversi. La pandemia, a fronte degli stereotipi sul disimpegno delle nuove generazioni, ci ha regalato centinaia di giovani volontari anche nella nostra città. Lo stesso vale per la transizione ecologica. «Non risolveremo i problemi del pianeta perché abbiamo aumentato la raccolta differenziata, perché abbiamo introdotto un piano di governo del territorio che riduce il consumo di suolo, perché abbiamo investito sulle aree verdi e sui parchi pubblici vincolati, perché abbiamo puntato sulla mobilità sostenibile» ci diceva il sindaco Del Bono. Però, nel locale, «abbiamo dato un contributo concreto e abbiamo detto alle nuove generazioni che un nuovo modello di sviluppo è possibile».

E nel territorio è stato superato anche lo scetticismo di chi pensava che Brescia multietnica sarebbe deflagrata. «C’erano più paure vent’anni fa di oggi, con una città abitata da 146 diverse etnie». Il contributo locale alla questione globale delle migrazioni è stato vincente perché «abbiamo imparato a conoscerci reciprocamente e abbiamo chiamato in causa in termini di responsabilità personale e collettiva questi nuovi cittadini». Segno che molte sfide possiamo farle nostre soprattutto a livello locale, perché è lì che si possono giocare e vincere queste partite. Forse è proprio vero quanto diceva Mino Martinazzoli, evocando Tocqueville: “Gli Stati li hanno inventati gli uomini, ma le città le ha inventate Dio”.