Il lavoro tra corporeità e digitalizzazione
Nel corso della pandemia siamo stati preoccupati per la salute del nostro corpo. Pertanto – visto che la tecnologia ce ne offriva l’opportunità – abbiamo usato gli strumenti per “metterlo in banca”, al sicuro, sostituendolo con la sua immagine digitale. Lo smartworking è anche una forma di tutela corporea, perché il corpo si vede ma non si tocca. La digitalizzazione del corpo salva il corpo in carne ed ossa – il corpo “vero”, potremmo dire – sostituendolo una proiezione del medesimo, una copia virtuale, “falsa” potremmo aggiungere: ma non sarebbe un’affermazione del tutto vera, dire così, perché in realtà il corpo esiste, pensa, si manifesta, dà segnali di sé ed è operativo. Solo che non è “lì”. Siamo abituati a un corpo situato nello spazio (un posto di lavoro, una casa, una strada, una scrivania: “dove sei?”, è la domanda che rivolgiamo decina di volte ai nostri interlocutori) e nel tempo (le ore lavorative, le ore del riposo; ma anche la gioventù, la vecchiaia): il corpo digitale supera tutto questo, toglie ogni limite. Con gli strumenti elettronici si può lavorare a qualsiasi tempo (e questo vale sia per il robot sia per l’umano, con frenetiche conference call ad ogni momento della giornata) senza spostarsi nello spazio. Una moltiplicazione del sé personale e lavorativo senza soluzione di continuità.
È il passaggio dall’analogico al digitale. Finora la tecnologia creava strumenti per rafforzare parti del corpo, gli occhi con gli occhiali o il cannocchiale o la lampadina; le braccia con il badile, la falce e il martello; i piedi con la ruota e i mezzi di trasporto. Ora la quarta rivoluzione industriale – che prosegue e porta ad assoluto compimento il lavoro della terza – cambia il nostro punto di vista: non si limita a “prolungare” il corpo, ma lo clona e lo sostituisce. Nell’analogico si producono strumenti analoghi, ossia simili, a ciò che si intende rafforzare. Col digitale, invece, si matematizza ciò che si intende rafforzare perché una volta creato un corpo digitale, esso sarà potenzialmente replicabile all’infinito. Col digitale la differenza tra corpo reale e corpo virtuale si affievolisce e ci obbliga ad un continuo paragone: questo lo fa meglio l’uno e quest’altro lo fa meglio l’altro. È una concorrenza che diventa cooperazione, potenziando di molto il nostro corpo. Oggi abbiamo un “corpo +”, un super-corpo. Di fatto si vivrà talmente in simbiosi con la tecnologia da pensarsi attraverso di essa. La realtà virtuale sarà una delle dimensioni della nostra realtà vera. Per capire basta osservare il lavoro delle stampanti 3D. Il digitale che diventa materiale con un click.
Come influenzerà il lavoro, tutto ciò? Esattamente come si è detto. Ci sarà – c’è già – una molteplicità di canali, per cui il lavoratore è tale ad ogni momento del giorno e della notte, è in grado di riprodurre il suo lavoro e di pianificarlo assieme agli strumenti dell’Intelligenza artificiale, per rendere di più, per essere più performante. Su YouTube si vedono video strepitosi dove robot, con precisione millimetrica, spargono sciroppo d’acero sulle cialde o decorano torte e uova di Pasqua. Per “lavoratori” così non servono diritti sindacali, pause, sabati o domeniche: i corpi e le menti umani sono sostituiti da clonazioni operative sempre funzionanti. Un robot non prende il Covid, non rimane incinta, non si infortuna mentre viene al lavoro, non entra in discussione col Capo, non si ferma per la pausa caffè o sigaretta, non chiede il versamento dei contributi o lo stipendio. Corpi così fanno la gioia di chi ha sempre visto i lavoratori come il fattore imperfetto della produzione. Agli umani restano la fantasia e la pianificazione? Secondo alcuni autori neppure quelle. Bisognerà abituarsi a risorse umane e simil-umane che lavoreranno assieme. Certo è che i diritti sindacali andranno ripensati e difesi con ogni mezzo. Occorrerà un sindacato più forte. Più smart. La creazione di una massa di schiavi è una possibilità che sta già dando segni di sé molto chiari.
Anche lasciando stare i robot, la corporeità assumerà un valore più basso grazie alle prassi che già tutt’ora sono in corso. Dall’e-learning all’e-mail, dall’e-book all’e-commerce, è evidente che stiamo entrando in un’era dove il corpo assumerà un valore diverso. Si pensi alla scuola e alla formazione professionale, all’ambito dell’istruzione, insomma. La DAD – nella formazione professionale si chiama FAD – sta cambiando il nostro modo di vivere l’istruzione: si pensi ai compiti in classe, alle verifiche orali, ai lavori di gruppo, ai laboratori. Cambia anche la nostra esperienza quotidiana: l’orario di sveglia, il tragitto (i ritardi, la pioggia, la nebbia ecc.), il modo di vestire, di allestire le relazioni sociali, il clima di classe. Cambia anche il lavoro dell’insegnante, gli orari di connessione e di disconnessione, le informazioni a sua disposizione, il luogo di insegnamento, un tempo monolitico e stabile, oggi ubiquitario e a portata di smartphone. Insomma, la rivoluzione digitale mette in discussione lo schema scolastico: servirà un nuovo modello formativo. La scuola – fabbrica delle competenze e della dignità – deve riscrivere il proprio lavoro esattamente come per il sindacato, l’impresa, il terzo settore. È ovvio che le competenze digitali saranno indispensabili, e chi non le possiederà resterà offline in molti sensi: l’offline come esclusione e l’online come inclusione sociale. Il digital divide sarà veramente una faglia di divisione sociale, tra chi sa e chi non sa (muoversi nell’universo digitale), tra chi ha strumenti e chi non li ha. Essere offline significherà essere fuori dal sistema, non avere un’identità digitale, non avere accesso alle informazioni e alle opportunità. Già oggi intuiamo qualcosa con lo Spid. È evidente che occorrerà uno sforzo da parte della scuola, e dei centri di formazione in genere, per dare a tutti una possibilità. Questo varrà anche per l’associazionismo, sindacale e sociale, che dovrà accompagnare questi passaggi per conseguire una maggiore inclusione sociale. Questo è il lavoro del futuro: rispondere alla potenza dell’Intelligenza Artificiale con una altrettanto forte l’Intelligenza Sociale (collettiva).
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