Quando pensiamo alla società civile, è naturale l’identificazione con l’attività volontaria, il mettersi a disposizione per una finalità alta, civica, solidaristica, di utilità sociale.
Spesso lo traduciamo con volontariato, anche se per lo più associato con le associazioni del Terzo Settore. Ma anche la politica è promossa e sorretta dall’attività volontaria: quanto tempo volontario si spende per un’idea, un valore, una proposta da perseguire. È chiaro quindi che democrazia e società civile sono direttamente connesse e si alimentano reciprocamente.
Tempo fa avevo letto un libro sul volontariato scritto da don Giovanni Nervo, fondatore della Caritas, dove l’autore scriveva di essere sobbalzato dalla sedia durante una tavola rotonda, quando gli hanno chiesto di trattare il tema del volontariato non profit e, si era subito chiesto se esisteva un volontariato profit.
Oggi anch’io, ma sono convinto tutti gli uomini di buona volontà, sono sobbalzati sulla sedia leggendo che nella guerra in Ucraina, la Russia ha messo in campo “volontari ceceni e siriani”. Credo che questa voluta confusione sia intollerabile perché questi altro non sono che mercenari. Qualcosa di completamente opposto a quello che sono i volontari nelle nostre associazioni non profit.
Le carenze della società civile organizzata, sconta il tempo in cui, per motivi diversi (è successo anche in Italia, almeno in alcune regioni e/o concezioni istituzionali) si riteneva, con un’illusione di onnipotenza, che lo Stato potesse fare tutto e che dallo Stato ci si poteva aspettare tutto oppure sull’uomo forte.
Interessante, in questo ambito, il tema del rapporto, non sempre trasparente e lineare, tra volontariato e Pubblica Amministrazione. In un certo senso possiamo partire da qui per definire il senso o lo spazio di cittadinanza delle associazioni e, la questione non è di poco conto anche in termini di cultura democratica.
È questo un argomento che sta emergendo in questi ultimi tempi, soprattutto con l’affacciarsi (per ora) solo il alcuni paesi, ma anche importanti, di regimi che si definiscono democratici, magari solo perché ci sono le elezioni, spesso scontate nei risultati, ma che non hanno nulla a che fare con il concetto di democrazia che abbiamo coltivato dopo la II^ guerra mondiale. Infatti, questi paesi pseudo democratici sono spesso governati da regimi autoritari. Nei commenti giornalistici o politici spesso si sottolinea la mancanza di una società civile capace di avere gli anticorpi necessari alle derive autoritarie.
È un argomento che sta invadendo l’Italia, ma non solo. Anche le recenti elezioni in Francia si sono caratterizzate per la messa da parte dei partiti politici, già in forte crisi, a favore della messa in proprio del leader personale.
I partiti sempre meno vanno a congresso, che sostituiscono con un consenso quasi plebiscitario per il leader. È così che sempre più spesso i classici partiti che dovevano costituire la colonna vertebrale della democrazia, sono sempre più spesso sostituiti da clan fedeli al leader di turno (e che spesso si estinguono quando il leader viene meno).
Interessante è anche interrogarsi sul rapporto tra opinione pubblica e società civile che negli ultimi decenni sconta una retrocessione. Chiariamoci, va bene, anzi benissimo, il pensiero libero e individuale, purché non sia individualista. C’è sempre un bene più alto del mero interesse personale. Ho la sensazione che la società civile si sia ritirata, non coltivando più la capacità critica, il perseguimento del bene comune, lasciando spazio ad un pensiero da talk show, modellato sulla contrapposizione tra tifosi, e sulle risse da bar. Il tutto a discapito della comprensione degli argomenti che si sono fatti sempre più complessi e difficili da capire. Quando in tv appare un professore e uno studioso che cerca di spiegarti come stanno le cose, o si cambia canale perché l’argomento diviene pesante e non più frizzante, come nel tifo e nei bar; oppure sono ridotti a opinione singola; l’opinione di chi la dice vale la mia, anche se sono ignorante.
Molti ci siamo chiesti, in questo periodo di guerra in Europa, dove è la società civile russa? Perché non reagisce? Tranne poche migliaia di persone. Non c’è la società civile, non c’è quindi capacità critica. Ben che vada è il caso di un terribile baratto tra libertà e tacere; io garantisco benessere, “ghe pensi mi” e non voglio essere disturbato. Il risveglio però è brutto e il piano verso il basso è inclinato. Anche l’Italia ne ha sofferto, ne soffre. Un modo di essere che fa pendand con il concetto distorto di un certo statalismo che rischia di cadere in assistenzialismo, quando si ritiene che, è lo stato che deve fare tutto. Sono entrambe illusioni di onnipotenza, direbbe don Nervo, ma la società civile non può abdicare al proprio impegno, alla propria responsabilità.
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