Narra la Bibbia che il profeta Geremia avvisò i Giudei dell’avanzata nemica, ma non venne ascoltato e fu perseguitato: seguì l’invasione babilonese, l’assedio di Gerusalemme e l’esilio degli ebrei. Altri tempi: oggi abbiamo reti informatiche, satelliti e droni, quindi possiamo sapere cosa fanno i nostri nemici e prevenire i loro attacchi. Invece no. Da mesi i servizi di informazione e gli esperti militari dicevano che la Russia preparava un’invasione, e da mesi c’era chi minimizzava e si rifiutava di credere che sarebbe potuto davvero accadere. Talvolta coloro che segnalavano i rischi derivanti dall’enorme apparato militare che incombeva ai confini dell’Ucraina erano accusati di essere profeti di sventura, allarmisti che danneggiavano un’economia in ripresa. Qualcosa di simile era accaduto nelle fasi iniziali della pandemia: a quanto pare avvertire la gente che c’è un rischio grave si scontra con il desiderio collettivo di avere soltanto buone notizie. Probabilmente si tratta di un meccanismo normale nelle società, e ancor di più in ciascuno di noi: non ci piace ricevere informazioni spiacevoli e se qualcuno ci dice che “andrà tutto bene” (per citare uno slogan recente e sfortunato) tendiamo a credergli, persino contro l’evidenza. Questo è un problema serio, perché l’incredulità rallenta l’azione e impedisce di prendere le contromisure: per proteggersi bisogna capire i rischi e prevenirli. Anche nel caso della crisi ambientale e climatica, per esempio, i tempi di reazione planetari sono troppo lenti e le azioni sono insufficienti.
Dunque, le collettività tendono a non credere alle notizie che non piacciono e a dare invece credito a coloro che promettono pace e prosperità. Accade alle elezioni: i politici più votati non sono quelli che mettono gli elettori davanti alla realtà, nessuno vince promettendo lacrime e sangue: vincono spesso coloro che vendono illusioni. Ma il dovere dei politici dovrebbe invece essere quello di mettere i popoli davanti alla realtà, ai “fatti” che i buoni governanti dovrebbero saper comprendere e interpretare. Ecco, questo è preoccupante: non il fatto che l’opinione pubblica, anche in Ucraina, non credesse alla possibilità di una guerra perché non la voleva, questo in fondo è normale. È preoccupante che quasi tutti i politici europei non abbiano saputo prevederla e di conseguenza non abbiano avviato azioni per proteggersi dai rischi militari, sociali ed economici. A dire il vero gli americani ci avevano messo in guardia, ma anche loro, che pure avevano ben chiaro che ciò che accadeva dietro ai confini russi non era certo una esercitazione, non hanno saputo o potuto fare significative azioni preventive, forse perché non immaginavano una azione così spregiudicata, spietata e crudele. Questi stessi politici incapaci di vedere quel che era sotto i loro occhi, incapaci di sfruttare le informazioni che le tecnologie contemporanee mettono loro a disposizione, incapaci di comprendere l’enormità di ciò che Putin stava preparando e di avvisarci di ciò che stava per accadere, sono coloro che dovrebbero guidarci per uscire da questa drammatica situazione. È lecito dubitare che ne siano all’altezza, ma visto che non ne abbiamo altri, c’è almeno da sperare che nel futuro diano prove migliori, a cominciare dall’unità di intenti e dall’attenzione alla prevenzione dei grandi rischi che corre la nostra fragile civiltà.
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