Quando Renzi decise di ritirare dal governo le ministre di Italia Viva in un momento così difficile per il Paese, molti pensarono (e anch’io, per la verità) che fosse un azzardo irresponsabile, dalle possibili gravi conseguenze. Invece, anche grazie alla determinazione del presidente Mattarella e alla responsabilità di alcune forze politiche, si può dire che non tutto il male vien per nuocere.
Una volta incaricato, Draghi aveva varie opzioni per comporre il governo e penso abbia scelto la più realistica ed efficace. In sostanza, ha deciso di lasciare a ministri politici l’ordinaria amministrazione, affidando a tecnici di sua fiducia i settori chiave per spendere bene i fondi europei e realizzare nello stesso tempo le riforme necessarie nell’ambito della transizione ambientale e digitale. Questo criterio è stato così netto da soverchiare gli altri equilibri nella composizione del governo, ad esempio l’equilibrio di genere, solo 8 ministre, e quello territoriale, poiché da Lombardia (9) e Veneto (4) proviene più della metà dei ministri.
Così si spiega come importanti ministeri per la gestione dell’ordinaria attività di governo siano stati affidati a ministri politici: Esteri (Di Maio), Sanità (Speranza), Lavoro (Orlando) Cultura (Franceschini), Difesa (Guerini), Sviluppo economico (Giorgetti), Pubblica Amministrazione (Brunetta) e Agricoltura (Patuanelli).
Draghi ha invece scelto tecnici competenti di cui si fida totalmente per l’Economia (Daniele Franco), la Giustizia (Cartabia), i Trasporti (Giovannini), la transizione digitale (Colao) e quella ambientale (Cingolani). Va osservato che la Giustizia è fondamentale per la voluta abbreviazione dei tempi dei procedimenti, condizione fondamentale per attrarre investimenti e rendere più competitivo il Paese, così come radicali cambiamenti nei trasporti e nella mobilità si rendono necessari per rendere concreta ed efficace la politica ambientale.
Particolarmente indovinata mi è sembrata la scelta di Roberto Cingolani alla Transizione ambientale (che significa: ambiente + politiche energetiche): già
Direttore dell’Istituto italiano di Tecnologia, è uno scienziato prestigioso, capace organizzatore dotato di una grinta invidiabile (ho avuto
modo di conoscerlo personalmente quando è venuto a Brescia il 22 marzo 2016).
Da un punto di vista generale si può osservare che l’ingresso in maggioranza della Lega e il mantenimento in essa dei 5 Stelle, sia pure sofferto e con significative defezioni, rafforzano sicuramente l’orientamento europeista dell’Italia. Se si pensa che solo alle elezioni politiche del 2018 Lega e 5 Stelle si presentarono come no-euro, il passo avanti è comunque significativo e positivo per il futuro del nostro Paese, per quanto possa essere stato determinato anche da motivazioni opportunistiche, specie per la Lega. Dal punto di vista dei rapporti politici, la scelta dei ministri da parte di Draghi ha rispettato gli equilibri interni di PD e 5 Stelle, mentre per la Lega e Forza Italia il Premier ha scelto i più europeisti e moderati (nella Lega esclusi i salviniani più stretti, in FI esclusi i più filo-leghisti dell’orientamento Taiani-Bernini-Gasparri).
Molti osservatori della politica hanno sentenziato che il governo Draghi di fatto costituisce una sconfitta della politica. Mi sembra una conclusione affrettata, parziale e perfino sviante. Va ricordato che la nostra Costituzione: a) non prevede che il popolo scelga il governo (la sovranità popolare si esprime con l’elezione del Parlamento) e b) non prescrive né suggerisce che i ministri e il capo del Governo siano parlamentari eletti dal popolo.
Un governo è legittimo quando ottiene la fiducia delle Camere. Se dunque i partiti politici e i gruppi parlamentari hanno deciso di affidare il governo a un tecnico competente e apprezzato in Europa, sapendo che avrebbe scelto ministri tecnici per i settori decisivi per usare efficacemente i fondi europei (ottenuti, non va dimenticato, dalla politica responsabile del governo Conte 2) e per realizzare la transizione ambientale e digitale, si tratta evidentemente di una saggia decisione politica, non di una sconfitta della politica.
Adesso ci sono tutte le condizioni perché il governo possa portarci fuori dalla pandemia e possa attuare le necessari riforme per il bene del Paese.
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